Dimostrato che la solitudine indebolisce le difese immunitarie.


A quanto pare la solitudine è in grado di compromettere i processi che stanno alla base delle difese immunitarie, modificando di fatto l'attività dei geni proposti a proteggere l'organismo; o almeno questo è quanto ha dimostrato uno studio condotto dai ricercatori di diversi centri di ricerca americani, guidati da John Cacioppo, (uno dei massimi esperti di solitudine dell'Università di Chicago), e pubblicato in questi giorni sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, (nota anche con la sigla PNAS). In pratica si tratta di una ricerca che ha fatto un po' di chiarezza in più su un aspetto già noto da tempo: essere soli, isolati, (soprattutto in età anziana), aumenta il rischio di morte prematura del 14% e accorcia l'aspettativa di vita. Difatti precedenti ricerche svolte dallo stesso team avevano individuato un legame tra la solitudine ed una aumentata espressione dei geni coinvolti nell'infiammazione, insieme ad una ridotta espressione di geni coinvolti nelle risposte antivirali. In altre parole, le persone sole hanno una risposta immunitaria meno efficace e sono più a rischio di infiammazione rispetto a chi invece può contare su una buona rete di relazioni sociali. Ad ogni modo anche se John Cacioppo studia da anni gli effetti della solitudine sulla salute umana, questa volta sono stati verificati gli effetti nocivi dal punto di vista dei meccanismi organici del corpo umano. Infatti durante il suddetto studio hanno preso in esame 141 adulti anziani, (36 dei quali sono risultati essere "cronicamente solitari"), ed hanno esaminato il rapporto tra la solitudine ed i modelli di espressione genica nei leucociti, responsabili, appunto, della protezione del corpo contro i virus e batteri. Così facendo i ricercatori hanno scoperto che, come previsto, i leucociti delle persone sole presentavano un'attività genica alterata a favore di geni pro-infiammatori ed a discapito di geni coinvolti nelle risposte antivirali, importanti per difendere l'organismo dagli agenti infettivi. Insomma, per dirla in altri termini, nei leucociti delle persone sole i geni coinvolti nella risposta antivirale generica contro infezioni e virus risultano essere meno attivi; motivo per cui i solitari sono più esposti al rischio di sviluppare patologie. Al riguardo lo stesso John Cacioppo ha spiegato: "Questo tipo di espressione genica cambia il corpo e rende più probabile una risposta infiammatoria che mette l'organismo in uno stato di allerta, pronto per affrontare un'infezione batterica". Inoltre, a quanto pare questo avviene a scapito della capacità di combattere una potenziale infezione virale: nelle persone sole avviene un cambiamento che "distrae" il sistema immunitario dalla protezione dai virus e lo spinge a focalizzarsi sulla protezione dai batteri. Oltretutto durante lo studio in questione gli scienziati scoperto alcune nuove informazioni importanti sugli effetti della solitudine sul corpo: l'espressione genica dei leucociti e la solitudine sembrano alimentarsi a vicenda nel corso del tempo. Difatti le persone che erano "cronicamente solitarie" all'inizio dello studio avevano maggiori probabilità di avere ancora questo tipo di espressione genica pro-infiammatoria un anno dopo; mentre quelli che presentavano l'espressione genica pro-infiammatoria all'inizio dello studio presentavano un maggior rischio di restare ancora soli un anno più tardi. In tal proposito i ricercatori hanno assicurato che: "Questi risultati sono riconducibili esclusivamente alla solitudine e non possono essere spiegati da depressione, stress o grado di sostegno sociale". In ogni caso successivamente, il suddetto team di ricercatori ha rilevato la presenza di processi cellulari analoghi nei macachi Rhesus tenuti in isolamento, i quali hanno anche mostrato livelli più elevati di noradrenalina, vale a dire un neurotrasmettitore legato alla risposta allo stress acuto anche detta "combatti o scappa". Non a caso precedenti ricerche avevano scoperto che la noradrenalina può stimolare le cellule staminali nel midollo osseo per produrre maggiori quantità di un particolare tipo di cellula immunitaria: un monocita immaturo che mostra alti livelli di espressione genica infiammatoria e bassi livelli di espressione genica antivirale. Infatti sia gli uomini sia le scimmie solitarie hanno mostrato livelli più elevati di monociti nel sangue. Ad ogni modo quando i macachi sono stati infettati con l'SIV, (ossia la versione del virus HIV delle scimmie), il virus si è propagato più rapidamente nel sangue e nel cervello delle scimmie che erano state tenute in isolamento rispetto alle altre. In ultima analisi si è scoperto che i "segnali di pericolo" che la solitudine attiva ​​nel cervello influiscono sulla produzione di globuli bianchi; il che a sua volta può sia favorire la solitudine sia contribuire ai rischi per la salute. Comunque sia i prossimi studi del gruppo di John Cacioppo si concentreranno sull'obiettivo di verificare se ed in che modo gli effetti deleteri della solitudine sulla salute si possano, infine, prevenire.

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