Dimostrato che il cuore sa auto-ripararsi ma è troppo lento.


A quanto pare il cuore è in grado di auto-ripararsi; o almeno questo è quanto ha fatto sapere in questi giorni Giulio Pompilio, cardiochirurgo responsabile del Laboratorio di Biologia Vascolare e Medicina Rigenerativa dell'IRCCS Centro Cardiologico Monzino, nonché pioniere della sperimentazione clinica con cellule staminali a scopo terapeutico, il quale ha spiegato: "Tutte le ultime ricerche, grazie anche al fiorire degli studi sulle cellule staminali, hanno contribuito a sovvertire l'assioma secondo cui il cuore non possiede meccanismi auto-riparativi. Lo si pensava anche del cervello ed ad oggi si è scoperto che non è così. L'idea era che le cellule cardiache ricevute alla nascita fossero solo in grado di diventare più grandi di volume e lunghezza, ma non di proliferare e di ricambiarsi". Ed ha poi proseguito aggiungendo: "Dagli anni '90 c'è stato un gran lavoro culturale e concettuale e questa nozione, data per scontata per decenni, è stata rimessa in discussione. In precedenza c'erano stati studi che avevano fatto pensare ad una capacità rigenerativa intrinseca del cuore. Osservazioni isolate avevano visto come nel post-infarto, e quindi in condizioni patologiche, ci fossero divisioni dei cardiomiociti, ossia delle cellule cardiache. Ma la comunità scientifica si era un po' adagiata sull'idea che il cuore non fosse capace di auto-rigenerarsi. Tant'è vero che la ricerca clinica sperimentale, che va sotto il nome di medicina rigenerativa, utilizzò cellule staminali al di fuori del cuore, di altra origine, come quelle adulte del midollo e le muscolo-scheletriche". Tuttavia, considerando che le cellule staminali sono presenti nell'adulto in quasi tutti gli organi, (cuore compreso), il punto della questione per gli esperti può essere riassunto con la domanda: "perché il muscolo cardiaco non è in grado di far fronte da solo a patologie che lo indeboliscono e/o ne alterano la struttura, come nel caso dell'infarto sostituita da delle cicatrici e non da tessuto contrattile, ossia con cardiomiociti nuovi?". Domanda alla quale ha cercato di dare una risposta lo stesso Giulio Pompilio spiegando: "Oggi sappiamo che ci sono cellule cardiache progenitrici residenti nel cuore, però non abbiamo una chiara cognizione della gerarchia dei precursori miocardici. Con "gerarchia" intendo la capacità di definire qual è la progenie che da' esito alla nascita di cellule cardiache. Il cuore, sia in condizioni normali che patologiche, ha una sorta di "turnover", vale a dire possiede effettivamente un meccanismo di ricambio di cardiomiociti". E la prova di ciò emerse nel 2009 da uno studio pubblicato sulla rivista Science, durante il quale alcuni ricercatori svedesi del Karolinska Institutet dimostrarono che le cellule cardiache hanno un ricambio, anche se questo si era rivelato alquanto lento. In pratica, sfruttando le conoscenze dei livelli di radioattività conseguenti ai test nucleari iniziati negli anni '50, i suddetti scoprirono che le disparità di radioattività osservate nell'atmosfera e nel cuore fossero dovute alla capacità di auto-rigenerazione delle cellule miocardiche; insomma un ricambio limitato, calcolato a 25 anni di età nell'ordine dell'1% in un anno. Al riguardo i ricercatori avevano spiegato: "Nella vita di un 70enne quasi metà del tessuto miocardico viene rinnovato con la produzione di nuovi cardiomiociti. Un ricambio a bassa frequenza e però continuo". In sostanza si è trattata di una scoperta che ha indotto molti a porsi altre domande legate alle fasi embrionali e fetali: "la capacità di rinnovamento del cuore è sempre la stessa?"; "quando termina lo sviluppo del cuore e si passa a una frequenza così bassa di ricambio?"; "quando finisce il programma di sviluppo fetale e comincia quello adulto?"; "e con quali meccanismi molecolari?". Ed ancora: "in condizioni di patologia del cuore adulto questa frequenza resta tale o aumenta?". Ed, infine: "chi è responsabile del rinnovo?"; "le cellule staminali o i cardiomiociti stessi?"; "e le staminali che ruolo hanno?". Tutte domande che preludono a possibili terapie e solo ad alcune delle quali sono già state date delle risposte. Infatti in tal proposito Giulio Pompilio ha dichiarato: "Sappiamo che nelle fasi dello sviluppo fetale, ma anche in quella precoce post-natale, la capacità di autorinnovamento del cuore è molto elevata. Entro le prime settimane di vita il neonato ha un cuore molto più plastico che in età adulta. Ci sono interruttori molecolari che probabilmente vengono spenti nella fase post-natale: attivati o disattivati a seconda di quale sia il programma, da molto plastico a poco plastico". Quindi gli interruttori molecolari sono un elemento-chiave, come spiega lo stesso Giulio Pompilio: "Nel caso dell'infarto il cuore aumenta leggermente la frequenza del ricambio, nel tentativo di adattarsi alla situazione critica. Ma non riesce a far fronte al problema". Perciò adesso l'obiettivo clinico è ben chiaro: accrescere questa risposta insufficiente; ovvero, come ha, infine, affermato il cardiochirurgo: "Una bassa frequenza che in una situazione critica viene coadiuvata dalle staminali nel cuore".

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