La cosiddetta "Web Tax" è stata ritirata, ma tornerà in Parlamento.


Dopo una settimana di lavori ed a pochi giorni dal pronunciamento sulla decadenza di Silvio Berlusconi, il tanto discusso emendamento alla legge di Stabilità sulla cosiddetta "Web Tax", (o "Google Tax" che dir si voglia), è stato ritirato domenica sera in Commissione Bilancio del Senato. Ma tuttavia, secondo alcune indiscrezioni, l'autore Francesco Boccia sarebbe intenzionato a ripresentare il testo con una serie di modifiche in Commissione Bilancio alla Camera, contesto in cui veste i panni di presidente. Infatti l'ha anche annunciato sui Social Network, spiegando che quest'emendamento inserito nella legge di Stabilità sono stati ritirati per questioni burocratiche. Inoltre un'altra soluzione che appare plausibile è la presentazione di un disegno di legge a sé stante che andrebbe a svincolare la discussione della norma sulla Stabilità e darebbe il via ad un iter canonico ed auspicabile. In pratica la notizia del ritiro sta già facendo parlare di vittoria degli avversari e dei critici di questa tassa, (che tassa non è), del Web. Infatti sia Confindustria Digitale che molti osservatori, (come lo stesso esponente e candidato alla primarie del PDGianni Pittella, e la Camera di Commercio americana in Italia), avevano evidenziato le possibili conseguenze negative di questo provvedimento, pensato dall'onorevole Ernesto Carbone, passato alla Camera nella delega fiscale al governo qualche mese fa, e poi ripreso da Francesco Boccia con l'intenzione di accelerare i tempi sfruttando il voto di fiducia. Ed invece poco fa lo stesso presidente della Commissione Bilancio ha spiegato: "Gli emendamenti su Web e Tobin Tax, ritirati solo per questioni di tempo in commissione al Senato, saranno ripresentati alla Camera. Si tratta di interventi che danno gettito ed affrontano imprescindibili temi di equità e regolazione dei mercati. Parlamento e governo dovranno andare avanti speditamente e senza esitazioni. Non è certo il tempo di tentennamenti e rinvii". Infatti Mercoledì prossimo, a dimostrazione del fatto che non intende mollare, Francesco Boccia ha fatto sapere che ne parlerà durante un convegno organizzato dall'Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e multimediali, (nota anche con la sigla ANICA). In sostanza il testo partirà dall'annoso problema del pagamento delle tasse da parte dei colossi digitali, come Facebook, Amazon e Google: la soluzione proposta è l'imposizione di una partita Iva in Italia a chi vuole vendere servizi e prodotti entro i nostri confini andando a scardinare quel rodato escamotage che permette di fatturare in Paesi con una pressione fiscale ridotta come Irlanda o Lussemburgo. Ed è proprio su questo aspetto che, come sottolineato dal coro unanime di detrattori, casca l'asino: Francesco Boccia e, se si dovesse giungere a un'approvazione finale, il Parlamento italiano si starebbero mettendo nella posizione di regolamentare non solo il flusso di prestazioni e denaro in direzione dell'Italia, ma di intervenire su una pratica adottata a livello comunitario, ovvero la possibilità di offrire servizi da un altro Paese dell'Unione Europea. Ma non solo; il colpo di mano avverrebbe in assenza di discussioni e tavoli con le parti coinvolte e competenti e senza prendere in considerazione contesto e dimensione internazionale della decisione. Comunque sia per il momento l'unico soggetto del settore coinvolto sembra essere Andrea Pezzi. Infatti in queste ore l'ex-volto di MTV, nonché fondatore di OVO, sta sostenendo su Twitter la battaglia di Francesco Boccia, ed ha fatto sapere che interverrà all'evento di Mercoledì. Ma ovviamente non basta: sulla "Web Tax" come sul diritto d'autore online, bisognerebbe affrontare le tematiche digitali con un approccio diverso, più analitico. E per di più il Parlamento italiano dovrebbe farsi carico di questioni che vanno senza dubbio affrontate, poiché un emendamento buttato in un calderone rovente, come in questo caso, o un regolamento in assenza di una presa di posizione legislativa aggiornata sul tema rischiano di diventare controproducenti.

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