Scoperte 44 varianti genetiche connesse all'emicrania.


Di recente alcuni ricercatori australiani ed americani hanno collegato 44 varianti del DNA umano all'insorgenza dell'emicrania: una scoperta che promette di migliorare il trattamento di uno dei disturbi più diffusi e debilitanti al mondo, caratterizzato generalmente da mal di testa ricorrenti e dolorosi. In pratica per arrivare a tale obiettivo gli studiosi, (guidati da Dale Nyholt dell'Institute of Health and Biomedical Innovation, in collaborazione con Aarno Palotie del Broad Institute), hanno confrontato 8 milioni di varianti genetiche relative a 60.000 pazienti affetti da emicrania ed un gruppo di controllo di 316.000 persone e tratte da 22 differenti studi genomici, in modo da comprendere meglio quali variazioni genetiche causano questa patologia. Al riguardo lo stesso Dale Nyholt, nello studio pubblicato su Nature Genetics, ha scritto: «Le esatte cause dell'emicrania sono sconosciute e non vi sono segni riconoscibili, diagnostici e patologici. Non sappiamo ancora quale sia la biologia e cosa faccia scattare tale disturbo, ma studi di gemelli e di gruppi familiari indicano che l'emicrania ha una significativa componente genetica». Ed ha poi proseguito facendo sapere: «Adesso stiamo cercando una particolare variante di DNA che sia più frequente nei casi di emicrania, rispetto al gruppo di controllo. Questo ci darà una conoscenza biologica e quindi potremo esaminare i gruppi per vedere se possiamo puntare a questo specifico percorso e formulare un migliore trattamento». Tra l'altro queste varianti di DNA hanno effetto sui livelli di proteine ed enzimi nell'espressione di un gene e, sempre secondo Dale Nyholt: «Una volta riconosciute le varianti specifiche dei disturbi di emicrania si potranno sviluppare dei farmaci per riequilibrare tali livelli e ridurre il rischio di attacchi». Il che rappresenterebbe un passo in avanti, considerato che la maggior parte dei pazienti sono persone sane fra un episodio e l'altro, rendendo difficile la diagnosi ed il trattamento. Mentre, stando sempre a quanto ha dichiarato lo studioso australiano, le terapie sintomatiche attualmente esistenti, (come, ad esempio, i triptani), risultano essere efficaci solo su circa il 40% dei pazienti. Motivo per il quale i ricercatori sperano che la ricerca, combinata ad una consapevolezza dei fattori ambientali, (come, ad esempio, stress, mancanza di sonno o gruppi alimentari), possa ridurre, infine, le probabilità di un attacco.

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