Sperimentato un nuovo tipo di trapianto di "isole pancreatiche" per la cura del diabete.


In questi giorni è stata sperimentata con successo una nuova tecnica di trapianto delle cosiddette "isole pancreatiche", (dette anche isole di Langerhans: vale a dire una porzione delle cellule del pancreas), per la cura del diabete; o almeno questo è quanto hanno fatto sapere i ricercatori del Diabetes Research Institute, (noto anche con la sigla DRI), dell'Università di Miami. Inoltre si tratta di un risultato che vede protagonista anche la ricerca italiana: a contribuire allo sviluppo del nuovo metodo figurano anche l'Ospedale Niguarda di Milano, il San Raffaele e l'Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad alta specializzazione, (meglio conosciuto con la sigla ISMETT), di Palermo. In pratica questa nuova tecnica rappresenta un primo importante passo verso lo sviluppo di un organo bioingegnerizzato capace di imitare il pancreas. Difatti da diversi anni è in fase di sperimentazione una tecnica che prevede, appunto, il trapianto delle "isole pancreatiche" ed, anche se quella al momento disponibile è risultata funzionare in alcuni pazienti ormai già da 10 anni, solitamente questo trapianto avviene infondendo le "isole pancreatiche" direttamente nel fegato, dove il contatto con il sangue può attivare una reazione infiammatoria che andrebbe a danneggiare le "isole" stesse. Motivo per il quale i ricercatori di Miami hanno pensato di sviluppare una tecnica alternativa di trapianto. Al riguardo Camillo Ricordi, professore di chirurgia e direttore del DRI, ha spiegato: "Questo è il primo caso in cui le "isole" sono state trapiantate con tecniche di ingegneria tissutale all'interno di una impalcatura biologica e riassorbibile sulla superficie dell'omento, tessuto che riveste gli organi addominali. Il sito è accessibile con la chirurgia minimamente invasiva, ha lo stesso apporto di sangue e le stesse caratteristiche di drenaggio del pancreas e permette di minimizzare la reazione infiammatoria e quindi il danno alle isole trapiantate". In sostanza questa impalcatura "biodegradabile" è una combinazione del plasma del paziente e della trombina, ossia un comune enzima per uso clinico: queste sostanze, quando unite, creano una sostanza gelatinosa che si attacca, appunto, all'omento e mantiene le "isole" in sede. Tra l'altro l'organismo assorbe gradualmente il gel lasciando le "isole" intatte, mentre si formano nuovi vasi sanguigni che forniscono ossigeno ed altri nutrienti necessari per la sopravvivenza delle cellule. In tal proposito Bruno Gridelli, direttore dell'ISMETT, ha, infine, concluso dichiarando: "Nel nostro istituto, anche grazie alla partecipazione al DRI, seguiamo con grande interesse questa nuova promettente tecnica di trapianto di "isole" che ha una grande potenzialità di cura per i pazienti diabetici. Speriamo di poter anche noi quanto prima partecipare a questa innovativa ricerca".


Di seguito un'immagine che riassume la nuova tecnica:
http://www.diabetesresearch.org/image/diabetes-news/Engineering-a-Biological-Scaffold-for-a-DRI-BioHub-Platform.jpg

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